
Essendo un brahmino ortodosso, Sunga fu fortemente ostile ai buddhisti e ne osteggiò la fede; è ricordato nelle cronache per aver “distrutto monasteri e ucciso i monaci“: 84.000 stupa buddhisti furono distrutti, e sembra che mise addirittura una taglia di 100 monete d’oro sulla testa dei monaci buddhisti. Un gran numero di monasteri buddhisti (vihara), come quelli di Nālandā, Bodhgaya, Sarnath, o Mathura, caddero in rovina o furono riconvertiti in templi induisti.
Durante questo periodo, i monaci buddhisti abbandonarono gradualmente la valle del Gange, seguendo la via verso nord (uttarapatha), che li portò nell’India nordoccidentale, o quella verso sud (daksinapatha), che li portò sulle rive occidentali dell’oceano, come attestano i ritrovamenti artistici sulle due vie. L’arte buddhista infatti si estinse a Magadha, mentre fiorì nel nord-ovest, a Gandhara e Mathura, o nel sud-est, come a Amaravati, nell’Andhra Pradesh; l’attività artistica non è comunque cessata nell’India centrale, come a Bharhut, ma non è noto quale contributo abbia avuto da parte dei Sunga.
Ma c’è disaccordo tra gli storici su quanto di ciò che la tradizione buddhista attribuisca ai Sunga sia veritiero; se ci sono prove di un declino del Buddhismo e un progressivo abbandono dell’area da parte dei monaci, infatti, non vi sono riferimenti alla distruzione degli stupa o segno alcuno di persecuzione religiosa al di fuori della storiografia buddhista. Importanti commentatori e storici, come Etienne Lamotte e Romila Thapar, sostengono che la figura di Pusyamitra Sunga dovrebbe essere riabilitata, se non altro per mancanza di prove.
Qui sotto: una moneta da 1 karshapana, emessa dall’Impero Sunga tra il 143 e il 75 a.C. La moneta è in bronzo, le dimensioni sono in media di 13 millimetri per lato e il peso varia dai 7 ai 12 grammi. E’ stata coniata nella zecca di Vidisa (nella regione di Malwa).
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