Le operazioni di pulitura della costa del Golfo del Messico a causa del disastro petrolifero di Bp (avvenuto in acque statunitensi tra aprile ed agosto 2010) stanno portando alla luce decine di siti archeologici. In essi si trovano resti umani e animali, nonchè vasellame e armi appartenute ai nativi americani e risalenti ad un periodo che va dalla preistoria fino a 1.300 anni fa.
Sinora le squadre di esperti chiamati dalla British Petroleum hanno visitato più di 100 siti e stilato una lista lunghissima di reperti da analizzare con il metodo del carbonio-14, anche se non sono state ancora condotte indagini approfondite. Gli archeologi, però, temono che i reperti possano essere stati danneggiati dal petrolio o che possano andare persi a causa dell’erosione prima di poterli studiare a fondo. Charles McGimsey, archeologo dello stato della Louisiana, è più ottimista e sostiene che i danni provocati dal petrolio non dovrebbero essere disastrosi.
Larry Murphy, archeologo direttore di un’agenzia governativa e supervisore delle operazioni, ha trovato in queste scoperte un aspetto positivo del disastro petrolifero: “Se non fosse accaduto, i siti archeologici non sarebbero mai venuti alla luce”.