Yong Le Tong Bao, la moneta delle esplorazioni

L’imperatore Yongle

Yongle fu il più grande imperatore della dinastia Ming, nonché uno dei più importanti in tutta la storia cinese.

Egli nacque il 2 maggio 1360 a Nanchino, l’allora capitale dell’impero, e gli fu dato il nome di Zhu Di; suo padre era l’imperatore Hongwu. Tuttavia quest’ultimo aveva designato come suo successore il nipote Jianwen (figlio di Zhu Biao, fratello di Zhu Di); da imperatore Jianwen contrastò gli interessi dei signori feudali, tra i quali vi era anche Zhu Di. Inoltre Jianwen impedì a Zhu Di di visitare la tomba del padre.

Quindi nel 1339 Zhu Di decise di organizzare una rivolta. Dapprima sconfisse le truppe del generale Li Jinglong e poi, nel gennaio del 1402, vinse la decisiva battaglia di Nanchino; molto probabilmente Jianwen morì nell’incendio del suo palazzo, ma i suoi resti non furono mai ritrovati.

Così il 13 luglio 1402 Zhu Di divenne imperatore con il nome di regno di Yongle (“eterna felicità”); la sua usurpazione al trono viene a volte chiamata “Seconda fondazione” dei Ming.

Già nel 1403 Yongle trasferì la capitale dell’impero da Nanchino a Pechino, dove fece costruire la Città Proibita; la costruzione iniziò nel 1406 e terminò, grazie al lavoro di un milione di uomini, nel 1420. Yongle decise anche di rinforzare la Grande Muraglia contro il pericolo mongolo, creando le tipiche torri e stabilendo il sistema da usare per comunicare da una torre all’altra.

Un’altra grande opera voluta da Yongle fu la ristrutturazione e la riapertura del Gran Canale della Cina, che collega Pechino allo Zhejiang e che è il più lungo fiume artificiale del mondo (1.794 chilometri). Il canale era stato costruito all’inizio del VII secolo d.C. per ordine di Yangdi, imperatore della dinastia Sui; alcuni tratti del Gran Canale sono costituiti da canali preesistenti, come quello che collegava lo Yangzi e il Fiume Giallo, costruito nel 486 a.C. Durante la dinastia mongola degli Yuan al canale non venne più garantita la manutenzione e divenne quindi inservibile. Yongle lo fece riparare e riaprire per poter costantemente rifornire Pechino di merci e prodotti alimentari.

Yongle promosse anche un’importante opera culturale: la monumentale Enciclopedia Yongle (Yongle Dadian, 永樂大典). L’imperatore la commissionò nel 1403 e fu completata nel 1408 grazie al lavoro di duemila studiosi, che scrissero due milioni di voci sui più svariati argomenti. L’opera si compone di ben 22.877 volumi di manoscritti, divisi in 11.095 libri ed occupa ben 40 metri cubi di spazio. Per sei secoli l’Enciclopedia Yongle è stata la più ampia mai scritta dall’uomo; è stata superata solo nel 2007 dall’edizione di Wikipedia in lingua inglese.

Yongle morì il 12 agosto 1424 e fu sepolto a Changling.

 

Le spedizioni dell’ammiraglio Zheng He

Durante il suo regno Yongle promosse attivamente sette spedizioni esplorative a carattere diplomatico, scientifico e commerciale nell’oceano Indiano, che vennero affidate all’ammiraglio Zheng He (1371-1433), eunuco e musulmano, che oggi viene ricordato come il Cristoforo Colombo cinese. Tra il 1405 ed il 1433 egli guidò sette spedizioni, condotte con grandi navi (nel disegno si può vedere il confronto con la Santa Maria di Colombo).

La motivazione ufficiale della spedizione era la ricerca dell’imperatore Jianwen (1377-1402) scomparso misteriosamente – come detto – durante l’incendio del suo palazzo. Ma secondo il professore d’ingegneria marittima Xin Yuan’ou dell’Università di Shanghai Jiaotong, l’impero cinese avrebbe mandato Zheng He in cerca di alleati contro la minaccia portata da Tamerlano, fondatore dell’impero timurude, il quale aveva già conquistato gran parte dell’Asia, sottomettendo anche l’India Tughlaq (1398-99), il Sultanato mamelucco (1400) e l’Anatolia ottomana; tra il 1402 e il 1403 arrivò anche a sconfiggere i cavalieri di Rodi.

Secondo altri storici i viaggi di Zheng He dovevano essere una grande impresa che servisse a dare un’aura di legittimità all’usurpazione di Yongle. Inoltre nascondevano un progetto imperialistico, avente lo scopo di imporre il pagamento del tributo feudale a nuovi paesi e di prendere il controllo sui traffici commerciali nell’oceano Indiano. In effetti nei suoi viaggi riuscì ad imporre lo status di vassalli a ben trenta regni, che inviarono anche delle ambascerie alla corte di Pechino; addirittura i re del Brunei e del Borneo si recarono di persona a prestare omaggio a Yongle. Rifiutare l’omaggio feudale a Yongle era pericoloso; ne sa qualcosa il re di Kotte, nello Sri Lanka occidentale: ricevuto il suo rifiuto, Zheng He non esitò ad usare la forza e a catturare il re, che fu inviato a Pechino. Zheng He minacciò l’uso delle armi anche contro quei funzionari locali arabi e africani che a loro volta minacciarono la sua flotta. Inoltre Zheng He sconfisse dei pirati che agivano tra le acque cinesi e quelle del sud-est asiatico, catturando anche il loro capo Chen Zuyi, che venne poi inviato in Cina e giustiziato nel 1407. Durante l’ultima spedizione Zheng He dissuase il re del Siam a minacciare il regno di Malacca.

La prima spedizione partì da Suzhou l’11 luglio 1405 ed era composta da ben 317 navi e 28.000 soldati; le tappe dei primi tre viaggi furono il Giappone, la Corea, il sud-est asiatico, lo Sri Lanka e Calcutta. Ma negli altri quattro viaggi Zheng He si spinse fino ad Hormuz, alle coste dell’Arabia meridionale e a quelle dell’Africa orientale (in Somalia, in Kenya e a Zanzibar).

L’ultima spedizione avvenne tra il 1431 e il 1433; Zheng He, a capo di 300 navi e 27.500 uomini, visitò i porti di Champa (oggi in Vietnam) e Giava, oltre a Palembang, Malacca, Ceylon e Calcutta. Poi una parte della flotta continuò il viaggio verso ovest, costeggiando il Corno d’Africa sino a Malindi e commerciando sul Mar Rosso, e probabilmente molti marinai visitarono la Mecca. Zheng He, invece, da Calcutta riprese la via di casa ma morì nel viaggio di ritorno; fu sepolto in mare.

Dopo la morte dell’imperatore Yongle, avvenuta nel 1424, i suoi successori non ebbero la lungimiranza di continuare le spedizioni, che vennero irrevocabilmente bloccate. Questa scelta è da attribuirsi agli altissimi costi sostenuti dall’impero nel preparare i sette viaggi, ma anche dall’incombere di problemi alle frontiere, vista l’irrequietezza delle tribù mongole. Così i marinai furono licenziati, i giornali di bordo e le carte nautiche vennero bruciate e le navi furono tirate in secca, dove marcirono e caddero in pezzi. Di fatto la fine delle spedizioni lasciò campo libero ai colonizzatori europei.

Anche se le grandi spedizioni di Zheng He sono un fatto storico, ancora oggi si discute sui limiti raggiunti dalle esplorazioni cinesi, tanto che alcuni storici si sono spinti ad ipotizzare che l’ammiraglio fosse arrivato fino alle Americhe (la cosiddetta “ipotesi del 1421″, avanzata dallo storico Gavin Menzies). Nell’ambito di queste controversie, alcuni studiosi sono certi che tra la Cina e l’Africa orientale vi fossero dei contatti già prima del XV secolo. Ma altri, come il professor Chen Hsin Hsiung dell’Università Nazionale Cheng Kung di Tainan (Taiwan), sostengono che le fonti non attestano che la flotta di Zheng He abbia raggiunto l’Africa.

Ma a fare definitivamente luce sui limiti raggiunti da Zheng He in Africa orientale è stata una moneta.

 

Il cash Yong Le Tong Bao

Dal 1393 in Cina non si producevano più monete, perché gli scambi monetari erano garantiti dalla cartamoneta e dall’argento non monetato.

Ma tra il 1408 e il 1410 (non si ha certezza della data esatta) Yongle ordinò alle zecche di produrre nuove monete a suo nome, non per farle circolare in Cina ma per caricarle sulle navi di Zheng He e farne dono ai sovrani dei paesi da lui visitati, ma anche per avviare dei commerci in quei luoghi. Le monete furono usate – insieme a oro, argento, porcellana e seta – per acquistare beni sconosciuti in Cina, come ostriche, zebre, cammelli e avorio.

Le monete riportavano la legenda cinese永乐通寶 (Yong Le Tong Bao, ovvero “moneta universale dell’era dell’eterna felicità”) e furono prodotte in cinque zecche: a Pechino, a Nanchino, nello Zhejiang, nel Guangdong e nel Fujian. La produzione delle monete fu molto accurata e ben realizzata.

L’analisi metallurgica di molti cash Yong Le Tong Bao ha rivelato che queste monete in bronzo furono prodotte con leghe molto variegate: la quantità di rame oscilla dal 63% al 90%, il piombo dal 10% al 25%, lo stagno dal 6% al 9% e lo zinco dallo 0,04% allo 0,18%. Esistono anche alcuni rari esemplari in argento.

Come detto, queste monete quasi non circolarono in Cina: ne sono state trovate pochissime negli scavi archeologici e spesso i ripostigli di epoca Ming non contengono nemmeno un cash Yong Le Tong Bao. Invece nei paesi visitati da Zheng He, questa tipologia viene trovata di frequente; grandi quantità di Yong Le Tong Bao sono state scoperte in Indonesia, in Malesia, a Singapore, in Thailandia, in India, in Sri Lanka e in Somalia. Ritrovamenti si registrano anche in Giappone perché l’impero nipponico importò molte monete Ming, comprese le Yong Le Tong Bao, per usarle nei suoi commerci interni.

Nel 1993 una moneta di questa tipologia è stata trovata nella provincia canadese dello Yukon; probabilmente il cash arrivò nella regione almeno tre secoli dopo essere stata prodotta, forse nel ‘700 grazie a dei mercanti russi oppure ai cinesi impegnati nella corsa all’oro in Klondike del 1896 e poi nella costruzione della ferrovia Cordova-Kennicott (1907-1911).

Ma le scoperte più interessanti sono avvenute in Kenya nel 2010 e nel 2013. Nel 2010 un gruppo di archeologi keniani e cinesi scoprirono un cash Yong Le Tong Bao in un villaggio costiero a nord di Malindi. La scoperta rafforzò l’ipotesi che Zheng He fosse arrivato in Kenya, fino ad allora basata solo su una fonte che citava l’arrivo in Cina di una giraffa portata da Zheng He dalla zona di Malindi. Poi nel 2013 sempre in Kenya è stato scoperto una secondo esemplare di Yong Le Tong Bao. Il ritrovamento è stato effettuato sull’isola di Manda, durante una campagna di scavo condotta da archeologi keniani e statunitensi. Questi due ritrovamenti potrebbero costituire la conferma definitiva del fatto che Zheng He raggiunse il Kenya ben prima di Vasco da Gama, che arrivò a Malindi solo nel 1498.

 

L’imitazione giapponese: Ei Raku Tsu Ho

Il cash Yong Le Tong Bao (in giapponese: Ei Raku Tsu Ho) fu ampiamente imitato dalle zecche private giapponesi. La questione merita un approfondimento.

Un racconto popolare narra come questa tipologia arrivò per la prima volta in Giappone. Nel decimo anno del periodo Oyei (1403), un grande tifone spinse una nave cinese fino a Misaki, un villaggio costiero della penisola di Izu. Ashikaga Mitsukane, governatore di Kamakura, inviò tre alti ufficiali a Misaki per vedere la nave. L’equipaggio della nave riferì di essere andato fuori rotta e chiese riparo. Cinque o sei kwan (pari a ad una ventina di chilogrammi) di cash Yong Le Tong Bao vennero trovati a bordo. Informato di questo, Mitsukane lo riferì allo shogun per chiedergli istruzioni. Lo shogun gli disse di decidere autonomamente, così Mitsukane confiscò il carico e rispedì la nave in Cina, dopo aver fornito del cibo all’equipaggio.

Sicuramente in questo racconto non tutto è vero, visto che il cash Yong Le Tong Bao fu prodotto a partire dal 1408 o dal 1410, dunque non è possibile che un simile fatto possa essere avvenuto nel 1403. Nemmeno l’ammiraglio Zheng He può averle portate nel suo viaggio del 1407, in cui egli donò ai giapponesi ben quindici milioni di monete, ma di altre tipologie.

In ogni caso questa moneta fu esportata dalla Cina verso il Giappone in grandi quantità e divenne ben presto la tipologia più diffusa e accettata nel paese del Sol Levante. Fin dal loro arrivo i cash Yong Le Tong Bao vennero imitati dai privati giapponesi. Distinguere i cash Yong Le Tong Bao cinesi dalle loro imitazioni giapponesi in molti casi è estremamente difficile, se non impossibile; le imitazioni continuarono fino al XVII secolo. Addirittura la popolazione della regione del Kanto voleva usare solo questa moneta (forse per la sua legenda benaugurale: “moneta universale dell’era dell’eterna felicità”) e rifiutava di ricevere in pagamento altre tipologie. Così Hoyo Nagasama, governatore del Kanto dal 1502 al 1508, impose a questa tipologia il valore di quattro monete di altro tipo. Questo tasso di cambio fu confermato nel 1604, ma cinque anni dopo il governo proibì la circolazione di questo cash. Questa misura fu decisa in risposta al rifiuto della popolazione di accettare altre monete. Sempre nel 1609 fu proibito il rifiuto di qualsiasi moneta, ad eccezione di quelle rotte o false; i colpevoli sarebbero stati puniti con una marchiatura a fuoco sul volto.

Poco dopo il 1580, quando il Giappone era governato dal daimyo Toyotomi Hideyoshi le zecche di stato produssero delle imitazioni di Yong Le Tong Bao in argento e in oro, oggi molto rare. Una fonte narra che Hideyoshi le usasse per ricompensare il coraggio in battaglia. Una parte di tali monete furono prodotte per fusione, mentre altre vennero coniate; questa novità costituì un tratto di originalità rispetto alla Cina, dove la coniazione fu introdotta solo nel tardo Ottocento. Le monete in argento furono prodotte dalla zecca di Osaka.

Nella foto in basso: comparazione fra una moneta prodotta in Cina ed un’imitazione giapponese. Molte imitazioni presentano i tratti obliqui in basso più lunghi, sia nel carattere Yong che sul Le.