Le monete menzionate negli Statuti Aquilani sono: l’augustale (augustalis), il fiorino (florenus), l’oncia (uncia) e il tarino (tarenus) dette tutte d’oro; il carlino (carlenus, carolenus) d’argento; il soldo (sollus), i soldi Ravennati (solli Ravendati) e il pistacolo (pistaculus, pistacullus) di bronzo.
L’augustale dal testo dei vari capitoli, in cui si trova menzionato, appare di quindici carlini. Sappiamo che tale moneta (così chiamata -spiega il Du Cange- perchè coniata prima dall’imperatore Federico II) ha corso nell’Italia meridionale fino a tutto il secolo XV.
Il fiorino d’oro, che appare col ducato d’oro una stessa moneta, equivale a 12 carlini d’argento e a 6 tarini d’oro; e poichè l’oncia d’oro è formata di 5 fiorini, essa ha dunque il valore di 50 carlini e di 30 tarini.
Il tarino d’oro è dunque la sesta parte del ducato; il carlino d’argento ne è la dodicesima; sicchè il tarino ha il valore di due carlini.
Il soldo è l’unità delle monete di bronzo corrente nel ‘300. Il diligente annalista A. L. Antinori, più volte citato, ci rende edotti della diversità del valore del soldo a metà del Trecento e nella seconda metà del Quattrocento. Il soldo di cui si parla negli Statuti è la quinta parte del carlino d’argento, e perciò occorrono 60 soldi per fare un fiorino. Non sappiamo se il valore dei soldi Ravennati (menzionati nei cap. 121 e 135) sia lo stesso.
Il denaro e il pistacolo sono due monete minute di bronzo: la prima ha il valore della dodicesima parte del soldo; della seconda, che si trova menzionata di rado (a indicare il prezzo di una stiacciata di pane -cap. 343-, delle carni -cap. 362- e il diritto di bollo dei pesi e delle misure – cap. 466-) non si desume il valore dagli Statuti, nè si trova menzionata dai Cronisti Aquilani (solo nel Du Cange troviamo questo termine adoperato in Roma per moneta spicciola equivalente a un quarto di denaro).