Il vero e il falso nella mentalità cinese

In occidente la Cina viene spesso associata alla falsificazione. Giusto o meno che sia, di certo i cinesi hanno un concetto di vero e di falso differente da quello occidentale, almeno per quanto riguarda il passato e la storia.
Proviamo a capirlo con due esempi, che hanno per protagonisti dei beni culturali: un teatro e una moneta.

Nel suo libro “Mille anni a Pechino”, la giornalista Renata Pisu cita l’esempio della demolizione del teatro Guanghe di Pechino, avvenuta nel 2007. La Pisu scrive:

L’avevo letto sui giornali di Pechino, che all’unisono avevano deprecato quest’ultimo scempio, l’assalto delle “insensibili ruspe” a un gioiello architettonico che risaliva all’epoca Ming. E che io non avevo mai visto. Come mai? Eppure ero stata infinite volte nel quartiere, mi ero inoltrata nel dedalo delle viuzze, avevo assistito per strada a esibizioni di saltimbanchi, ero andata spesso anche a teatro per assistere a spettacoli dell’Opera di Pechino. Ma lo storico teatro, “reliquia del passato pechinese”, come proclamava la stampa, che lamentava “la forsennata distruzione degli edifici che rendevano unica al mondo la nostra capitale”, proprio non la ricordavo.
Mi insospettì il fatto che nessun giornale ne pubblicasse un’immagine, così decisi di svolgere una breve indagine che mi portò a una bizzarra conclusione, un vero dilemma: o i pechinesi non conoscevano affatto la loro città ed erano convinti che l’antica struttura, costruita quattrocento anni fa e che fu prima la ricca dimora di un mercante di sale e, poi, a metà dell’Ottocento, un teatro, sorgesse ancora tale e quale nel quartiere di Qian Men – e questo significava che non si erano presi la briga di andare a controllare sul posto – oppure era proprio vero che il loro concetto di monumento storico non ha niente in comune con il nostro. Cioè un sito non assume valore perché testimonia il trascorrere degli anni ma perché, in passato, è stato descritto ed elogiato da letterati, scrittori e poeti.
Quanti ideogrammi erano stati tracciati da abili pennelli per celebrare i fasti del teatro Guanghe, dei divi dell’Opera di Pechino; e quanti articoli indignati venivano pubblicati oggi per accusare gli speculatori insensibili alla conservazione delle testimonianze del ricco passato…
In realtà feci presto a scoprire che il primitivo teatro non c’era più ormai da tempo: al suo posto, nei primi anni Cinquanta, era stato costruito uno sgraziato edificio nel puro stile del socialismo reale. Ed era lì che a suo tempo avevo assistito a qualche spettacolo dell’Opera tradizionale, in una sala anonima, con le file di seggiole in legno dal sedile ribaltabile tutte sconquassate e il pavimento di cemento grezzo, un calore insopportabile d’estate, spifferi gelidi d’inverno.
Questo locale, che si presentava come uno squallido cinema di periferia e che soltanto un’iscrizione su un arco commemorativo all’entrata riallacciava alle glorie del famoso Guanghe, era stato chiuso definitivamente nel 2000 perché dichiarato pericolante. Dunque era questo l’edificio “storico” sulla cui demolizione la stampa versava tante lacrime. Rimasi davvero allibita: per la sorte di quella mostruosità non valeva davvero la pena di commuoversi, anhe se i giornali di Pechino se la prendevano tanto a cuore.
Forse, se non sono gli occidentali a demonizzare i cinesi, ecco che ci pensano i cinesi stessi, in preda alla loro mania di autodistruzione, convinti che soltanto la parola possa infondere vita al passato: oggi si sono sprecate espressioni di rimpianto, di commiserazione per la perdita di un qualcosa che non c’era più da anni, ma probabilmente per la sensibilità cinese non sono parole sprecate.

Un altro esempio di questo modo cinese di intendere il vero e il falso è una discussione intercorsa su un forum di numismatica tra un collezionista occidentale ed uno cinese. L’occidentale esprimeva dei dubbi sull’autenticità di una moneta in suo possesso e chiedeva lumi agli altri collezionisti. Perché giustamente un collezionista occidentale i falsi li butta nella spazzatura o, al massimo, li mette in un angolino per poter effettuare future comparazioni.
Ma il primo a rispondere è stato il cinese, che ha scritto:

Falsa o non falsa? Non importa. La cosa più importante è la tua vera passione verso queste opere d’arte.

Il collezionista occidentale gli ha risposto, piuttosto ammirato:

Come sei zen!

Quello che forse l’occidentale non sa è che dietro a quella frase non c’è solo la rilassatezza zen, ma un intero universo di pensiero.

In foto: il confronto fra un 10 cash Da Guan Tong Bao (dinastia Song, anni 1107-1110) autentico (a sinistra) e uno falso (a destra).

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